I libri di economia ci insegnano che la storia è molto più ripetitiva e semplice di quanto possa sembrare. Tendiamo a credere che ogni crisi finanziaria sia diversa rispetto al passato. Così come, ogni momento euforico sembra diverso a cui, questa volta, non seguirà una crisi. Ma i libri di economia ci dicono che così non è. Non esiste un “questa volta è diverso”. Gli schemi tendono più o meno a ripetersi. Ciò che cambia sono gli attori (Paesi) che si trovano di volta in volta a sperimentare default, crisi bancarie, crisi del debito privato, crisi valutarie. Allo stesso tempo ci sono ragioni per credere (o quantomeno ipotizzare) che la crisi che stiamo vivendo adesso forse sia davvero diversa dal passato. C’è ragione di credere che, questa volta, i libri di economia siano fuori fuoco e non contemplino lo scenario attuale.
Siamo infatti nel territorio inesplorato dei tassi negativi su scala globale. In questo momento i bond della Svizzera pagano rendimenti sottozero su scadenze fino a 15 anni, quelli giapponesi fino a 10 anni, i tedeschi fino a 9 anni, e via dicendo. Oltre i 3/4 delle obbligazioni governative in circolazione abbiano tassi di interesse inferiori all’1%. Oltre la metà viaggia sotto il 2% e il 14% viaggia addirittura a interessi negativi con una tendenza esponenzialmente in aumento.
Il fatto che i bond governativi globali abbiano una pericolosa tendenza al ribasso non è una follia dei mercati. Riflette semplicemente che uno dei 3 elementi che incorporano i prezzi dei bond
1) rischio emittente
2) rischio durata
3) aspettative di inflazione
sia ai minimi storici. Mi riferisco alle aspettative di inflazione, scese all’1,4% nella stima a 5 anni per l’area euro, mai così in basso. Il mondo sta facendo i conti con una globalizzazione senza freni che spinge
1) i Paesi sviluppati a importare deflazione dalle aree emergenti che possono produrre a costi più bassi avendo meno diritti sociali da tutelare;
2) la domanda aggregata dei Paesi sviluppati non può essere foraggiata dalle politiche monetarie espansive adottate dalle banche centrali. Perché la moneta che viene “stampata” non può finire nelle mani di famiglie e imprese, dato che gli anni della crisi ne hanno deteriorato redditi, capacità reddituale e di conseguenza anche capacità di chiedere finanziamenti.
L’inflazione la crea solo il ceto medio-basso della società e questo ceto oggi sta facendo clamorosi passi indietro nei Paesi sviluppati. Stiamo vivendo il chiasmo degli anni ’80. Allora il ceto basso cresceva e diventava medio (generando anche di conseguenza molta inflazione). Oggi invece il ceto medio sta tornando basso e quello basso va ancora più giù (generando anche di conseguenza deflazione). Molto semplice, ma anche (questa volta) diverso da quanto ci suggeriscono alcuni manuali di economia secondo i cui quali (teoria quantitativa della moneta) basterebbe aumentare la moneta in circolazione per regolare (come fosse un termostato) l’inflazione. E sistemare tutto.