L’Eurozona è una barca che perde acqua. O si tappa a breve il buco, oppure si affonda. Non c’è alternativa a questo doppio scenario. Continuare a far finta che le cose si risolvano da sole equivale a imbarcare altra acqua. E se c’è un buco nella barca molto dipende da come è stata costruita, da trattati europei rigidi, oggi considerati obsoleti dallo stesso Romano Prodi, tra i padri fondatori.
Il buco è la somma di tanti cavilli che non funzionano. In questo post ne segnalo uno. Il mandato della Bce – istituita nel 1999 in base al Trattato sull’Unione europea e allo “statuto del sistema europeo di banche centrali e della Banca centrale europea” – è mantenere sotto controllo l’andamento dei prezzi. Controllare attraverso la politica monetaria l’inflazione affinché il tasso di medio periodo sia a un livello inferiore (ma tuttavia prossimo) al 2%.
Come mai è stata fissata la soglia prossima al 2%? Perché i metodi di calcolo sono tendenzialmente ottimistici e quindi la soglia del 2% vuole tener conto di questo aspetto. E’ evidente che questi trattati risentono dello spauracchio per l’inflazione che per la Germania è più che uno spauracchio dato che tra il 1921 e il 1923 Berlino precipitò in iperinflazione (si definisce tale quando l’inflazione cresce di oltre il 50% al mese, cioè più dell’1% al giorno). In realtà, l’inflazione iniziò a montare nel 1914 quando per fronteggiare lo sforzo bellico la Germania sganciò il marco dalla convertibilità con l’oro. Alla fine della fiera, nel novembre 1923 il marco valeva un bilionesimo (1/1.000.000.000.000) di quanto valesse nel 1914. Numeri da trauma, ben chiaro.
Nessuno nega la giustezza di inserire una soglia limite di inflazione nel mandato di politica monetaria di una banca centrale, perché nessuno nega che un’elevata inflazione (e tanto più un’iperinflazione) sia profondamente pericolosa per l’economia. Ma ci sono (almeno due obiezioni) da fare all’attuale schema previsto nei trattati.
1) La soglia dell’ “inferiore ma prossimo al 2%” è opinabile. Perché è rigida (e quindi incapace di adeguarsi elasticamente alle variazioni del ciclo economico). In casi di prolungata recessione (come quello attuale in cui Standard and Poor’s ipotizza per l’Europa una “triple dip”, ovvero una terza tornata di recessione) e nelle fasi in cui la banca centrale ha esaurito le cartucce espansive facendo leva sui tassi di interesse (avendoli azzerati) alzare un po’ l’asticella limite (magari al 4% come consigliato da Olivier Blanchard del Fondo monetario internazionale) potrebbe essere ragionevole;
2) Se un’elevata inflazione è un male per l’economia, lo è anche (e forse ancor di più) la deflazione. La deflazione spinge a ritardare consumi e investimenti, mandando ko qualsiasi economia. Oltretutto è molto pericolosa in un quadro economico in cui la maggior parte della moneta creata (tanto dalla Banca centrale europea ma soprattutto dalle banche private nel momento in cui erogano prestiti come dichiarato dalla Bank of England) nasce come forma di debito. Ne consegue che negli ultimi 30 anni la quantità di debito (sia privato che pubblico) è aumentata esponenzialmente rispetto agli anni ’70, quando c’erano più vincoli per gli istituti di credito all’espansione monetaria al debito. E si sa, per quanto l’economia sia una scienza sociale, qualche formula inattaccabile ce l’ha. E tra queste c’è quella in base alla quale la deflazione penalizza chi ha un debito. Bene, come mai nel mandato della Bce c’è una soglia limite all’inflazione ma non è prevista una soglia limite alla deflazione? E’ evidente che, stando al mandato, la Bce è più propensa ad agire in casi di elevata inflazione, meno in caso di disinflazione o deflazione. Ed è forse per questo che mentre gli Stati Uniti hanno terminato il terzo quantitative easing in cinque anni, nell’Eurozona si continua a discutere se la Bce possa acquistare corporate bond, titoli di Stato e quant’altro per aumentare la base monetaria. Nel frattempo sei Paesi su 18 (fra cui l’Italia) sono ufficialmente in deflazione (non potendo beneficiare di un intervento tempestivo di una banca centrale) mentre il Paese che dovrebbe reflazionare per un periodo prolungato (se si vogliono mettere a posto gli enormi squilibri creati in 15 anni), cioè la Germania, viaggia con un’inflazione dello 0,8%.
Weimar è lontana quasi un secolo, ma il trauma non è stato ancora curato.