Oggi sono stati diffusi i dati dell’inflazione nell’Eurozona nel mese di agosto. Il tasso medio (su base annua) si attesta allo 0,4%, stabile rispetto al dato di luglio. Un anno fa eravamo all’1,3% nello stesso mese. Ci sono però otto Paesi dell’Unione europea e sei dell’Eurozona (quindi un terzo dell’area euro) che viaggiano ufficialmente in deflazione. Si tratta di Portogallo, Polonia, Slovacchia, Italia, Spagna, Grecia, Estonia e Bulgaria. Per questi Paesi, e in particolare per l’Italia, ci sono due scenari, legati all’andamento dell’inflazione nei prossimi mesi. Se riparte vorrà dire che sarà ripartita anche la crescita. In caso contrario – spiega Fitch in un rapporto dedicato alla deflazione nella zona euro – potrebbe scattare una raffica di downgrade sovrani e, come conseguenza si potrebbe “riaccendere il dibattito su possibili uscite dall’euro”.
L’agenzia di rating – che attualmente attribuisce all’Italia un giudizio BBB+ e su cui si esprimerà nuovamente il 24 ottobre – indica che lo scenario attuale dei rating ipotizza una ripartenza dell’inflazione con chiusura a 0,6% nel 2014, 1% nel 2015, 1,3% nel 2016. In questo scenario il Pil dovrebbe crescere dello 0,4% nel 2014, dell’1% nel 2015 e dell’1,2% nel 2016. Se questo scenario si verificherà migliorerà anche il debito/Pil, attualmente al 137%: 134,4% nel 2014, 133,8% nel 2015, 133,0% nel 2016, fino al 122,0% nel 2022.
Ma c’è anche lo scenario B, quello meno favorevole in cui Fitch ipotizza un protrarsi dell’attuare deflazione (0 nel 2014, -1,5% nel 2015, -1,2% nel 2016 per poi ritornare a 0 in seguito). In questo scenario di “Italia colpita da sindrome giapponese” si uscirebbe dalla recessione solo nel 2017: nel frattempo il Pil perderebbe lo 0,5% nel 2014, 2015 e 2016, con un tasso di disoccupazione in progressiva salita oltre il 13%. Pur tenendo come ipotesi che l’Italia continui a marciare con un avanzo primario (senza quindi contare gli interessi sul debito) compreso tra il 2,4% e il 3%, Fitch ipotizza in questo scenario B un rapporto debito/Pil crescente, con il superamento dell 150% nel 2022.
A quel punto sarebbe difficile che l’Italia possa mantenere il rating BBB+, che per giunta è a soli due gradini dalla soglia non investment grade, esclusa dagli acquisti per policy da molto fondi di investimento.
“Una protratta deflazione potrebbe aumentare l’incertezza sulla capacità della Bce di offrire un’efficace risposta, indebolire il meccanismo di trasmissione monetaria e, in ultimo, riaccendere il dibattito su possibili uscite dall’euro” si legge nel rapporto. “Tale scenario porterebbe probabilmente ad una serie di downgrade, specialmente nella periferia”.
Facciamo il tifo per lo scenario A ma bisogna tener presente che al momento le proiezioni – almeno quelle di crescita del 2014 che vedono secondo Ocse e Confindustria un calo del Pil italiano dello 0,4% quest’anno – sono più vicine allo scenario B (Pil a -0,5%) che non a quello A (Pil a +0,4%).