L’euro dimostra una certa assuefazione alle parole del governatore della Bce Mario Draghi. Dopo il “whatever it takes” del luglio del 2012 l’euro si è rivalutato prepotentemente sulle altre principali valute (che quindi hanno svalutato): lo yen ha perso il 32%, il dollaro il 12% e così via. E la divisa unica continua a mostrarsi tonica nonostante le ultime recenti aperture di Draghi a manovre espansionistiche che, come tale, dovrebbero causare un deprezzamento dell’euro.
Oggi l’euro scambia oltre quota 1,38 dollari e ha praticamente snobbato le dichiarazioni dall’Olanda di Draghi (in occasione dell’anniversario di 200 anni della Banca centrale olandese). Il numero uno dell’Eurotower ha detto oggi che la Bce potrebbe intraprendere unprogramma di acquisto asset su larga scala se si verificasse un peggioramento dell’outlook sull’inflazione nella zona euro. Oltre all’apertura sul quantitative easing europeo Draghi ha anche aperto a un eventuale tasso negativo sui depositi delle banche commerciali presso la Bce (misura che potrebbe incentivare prestiti all’economia reale) spiegando che un rialzo della valuta che di fatto avesse un effetto di restringimento della politica monetaria potrebbe innescare azioni come un tasso negativo sui depositi. “Il tasso di cambio è un fattore sempre più importante nella nostra valutazione dell’outlook per la stabilità dei prezzi” ha detto.
Parole forti che hanno avuto un minimo effetto sul cambio euro/dollaro. L’euro è sceso sotto quota 1,38 per pochi minuti. Ma poi è ritornato tonico a quota 1,383 dollari, come se nulla fosse stato. Gli analisti temono a questo punto che le aspettative al rialzo dell’inflazione di aprile (in virtù della Pasqua quest’anno ritardato come aveva indicato Draghi a inizio mese) possano essere disattese. E che la deflazione corale dell’Eurozona non sia un pericolo così balzano.
Allo stesso tempo siamo entrati in una fase in cui bisogna passare dalle parole ai fatti. Le altre banche centrali si sono rivelate estremamente più aggressive della Bce negli anni della crisi con l’indubbio effetto di svalutare il cambio, in barba alla tanto ventilata indipendenza tra Banca centrale e governi (si pensi all’Abenomics e al piano di quantitative easing della Bank of Japan per non parlare della Fed che orchestra la politica monetaria in funzione del tasso di disoccupazione e quindi nettamente agganciata all’azione di governo).