I Paesi a rischio default dovrebbero attingere dalla ricchezza privata dei propri cittadini con un prelievo una tantum prima di chiedere aiuto agli altri Stati. La pensa così la Bundesbank e lo scrive chiaro e tondo in un report. La linea dura della Banca centrale tedesca non è una novità e arriva dopo anni di crisi dell'Eurozona e cinque "salvataggi" di Paesi.
«Una tassa siffatta corrisponde al principio di responsabilità nazionale secondo cui i contribuenti sono responsabili delle obbligazioni dei loro governi e questa dovrebbe intervenire prima della solidarietà degli altri paesi», si legge nel report mensile dell'istituto.
Peccato che la Bundesbank esalti in questo report semplicemente quello che dovrebbero fare gli altri Paesi in favore di un'Eurozona più equa, fluida e scorrevole omettendo quello che invece dovrebbe fare la Germania per gli stessi Paesi che ne condividono il cambio. Troppo facile in questo modo. Ecco quello che dovrebbe fare (e che stando a ripetute dichiarazioni ufficiali non ha alcuna intenzione di fare) per colmare gli squilibri, come tra l'altro previsto dai Trattati europei.
– ESPORTARE MENO. Persino la Commissione europea ha deciso di aprire un'indagine sullo squilibrio venutosi a creare nell'Eurozona, relativo al surplus delle partite correnti tedesche, che negli ultimi tre anni ha superato il limite del 6% del Pil. Uno squilibrio favorito dal fatto che la Germania opera con un cambio (l'euro) svalutato del 40% rispetto ai fondamentali della propria economia (marco virtuale). Uno squilibrio dettato dal fatto che dal 2000 ad oggi la Germania ha generato 30-40 punti di inflazione in meno rispetto agli altri Paesi dell'Eurozona (tasso di cambio reale) attraverso una politica di dumping salariale che ha reso il Paese estremamente più competitivo degli altri all'interno della stessa area in cui la Germania, che guarda sì alla Cina e ai Paesi emergenti, destina però quasi il 70% del suo export (come si evince da questo grafico)
– l'altra strada che la Germania ha per dare il suo contributo all'Unione europea e all'Eurozona e colmare gli enormi squilibri interni di cui sta beneficiando è quella di IMPORTARE di più e risettare il suo modello di crescita estremamente mercantile (e quindi totalmente sbilanciato sull'EXPORT) nella direzione dei CONSUMI INTERNI. Del resto, se anche la Cina ha come obiettivo quello di crescere per consumi interni, non si capisce perché la Germania debba distaccarsi da questo obiettivo
– c'è una terza via, che è figlia della seconda, che la Germania ha per dare il suo contributo all'Unione europea e quindi a quel punto pretendere comportamenti più virtuosi dei "partners". Ed è quella di AUMENTARE I SALARI, eliminando quel processo di dumping salariale che finora è andato appanaggio del modello ipermercantile. Come dimostra questo grafico, la Germania è il Paese che ha ridotto più di tutti i salari dal 2000 all'interno dell'Eurozona
– E poi c'è un altro elemento che non quadra e che rende il comportamento tedesco all'interno dell'area valutaria tutt'altro che virtuoso. Se presta soldi ai cosiddetti Piigs (o Gipsi come li chiamano ormai negli Stati Uniti) deve assumersi i rischi annessi di un prestito nei confronti di Paesi che hanno rating bassi, piuttosto che pretendere una SOCIALIZZAZIONE DELLE PERDITE, come avvenuto nell'ambito dei salvataggi di banche greche e compagnia bella che nel momento del crac si è scoperto essere fortemente indebitate proprio con quelle tedesche.
L'Europa deve servire per condividere tutto (pro e contro) non soltanto i pro (tasso di cambio reale vantaggioso, valuta svalutata che non può rivalutarsi nonostante l'esplosione dell'export) come evidentemente intende oggi Berlino, che continua però a dettare la linea. Pur peccando, come tutti, di moral hazard.
Ecco, magari nel prossimo bollettino fra un mese, la Bundesbank potrebbe inserire anche questo.