E' passata un po' in sordina ma ieri in Spagna c'è stata un'asta di Bonos a 10 anni straordinaria (nel senso di fuori dal comune). Madrid ha collocato titoli per un controvalore di 10 miliardi al tasso del 3,8%. Le richieste però sono state molto più ampie, 40 miliardi. Insomma, c'è stata bagarre tra gli investitori internazionali per accaparrarsi il titolo spagnolo. Titoli di un Paese che continua a ricevere apprezzamenti.
Da oggi Madrid è ufficialmente uscita dal piano di aiuti dell'Ue. Dal forum di Davos, Kenneth Rogoff, ex-capo-economista del Fondo monetario internazionale e ora professore ad Harvard (autore del criticato studio secondo cui Paesi con debito/Pil oltre il 90% non sarebbero in grado di crescere la cui formula si è rivelata poi inesatta dopo la scoperta di uno studente, ma anche autore dell'apprezzabile libro "Questa volta è diverso") indica che tra Roma e Madrid «il contrasto è evidente. In Spagna c'è stato un netto cambiamento con riforme che sono andate a beneficio della crescita. L'Italia invece dà l'impressione di un cambiamento molto lento».
Al di là di questo, delle considerazioni che si possono fare sul deficit/pil cumulato negli ultimi anni a sostegno della crescita (27% in Spagna e 9,8% in Italia con approndimento che trovate qui) e del fatto che in Spagna la disoccupazione sia al 26% (il che spingerà i nuovi lavoratori ad accettare salari più bassi) rispetto al 12,8% italiano, la considerazione che mi preme fare è questa:
– I MERCATI STANNO SCOMMETTENDO SU UN NUOVO MODELLO DI CRESCITA
Sì, perché comprare titoli a 10 anni al 3,8% di interesse per un Paese con una disoccupazione al 26% e ancora tanti tanti problemi da risolvere, a partire dall'ormai prossima deflazione (nell'ultimo mese l'inflazione è scesa allo 0,2% annuo) vuol dire SCOMMETTERE su un prolungato periodo di bassissima inflazione. Perché basterebbe che l'inflazione salisse al 3% per erodere quasi integralmente il rendimento reale vanificando a quel punto non un anno ma 10 anni di investimento.
Quindi se arrivano 40 miliardi su un'emissione da 10 in uno scenario di calo di tassi (e inflazione) generalizzato c'è indubbiamente questa credenza di fondo da parte degli investitori, quella che stiamo per entrare in un mondo nuovo, quella della crescita senza inflazione. E' mai possibile? O è soltanto l'ennesima illusione dei mercati che, come lo stesso Rogoff ci insegna, cadono costantemente nella sindrome del "Questa volta è diverso", ovvero si illudono che nuovi modelli impediscano il ripetersi di crisi?
In questo momento ci stanno riuscendo gli Stati Uniti. La crescita è al 4,1% e l'inflazione è contenuta (1,5%). Ma non dimentichiamo che per farlo stanno iniettando sui mercati 85 miliardi di dollari al mese (da gennaio 75) con una misura espansiva senza precedenti che rischia di spargere i germi di nuove crisi Oltreoceano (si sta creando una bolla sui titoli dei Paesi della periferia dell'Eurozona?). E poi il modello di crescita statuntense superdopato non è ancora in grado di rispondere a questa domanda: come reagirà il mercato immobiliare a un probabile rialzo dei tassi nei prossimi due anni?
In aggiunta, al netto di tutto, siamo sicuri che il modello di CRESCITA SENZA INFLAZIONE sia un modello vincente? Potrebbe esserlo se non fosse che si basa su un travaso, tra le componenti che concorrono a formare il Pil, della quota di CONSUMI verso la quota EXPORT. Il modello, in sostanza, prevede la crescita attraverso l'indebolimento della DOMANDA INTERNA. Con la speranza che poi l'aumento dell'EXPORT metta le imprese nelle condizioni di riassumere. Questa è la scommessa che oggi stanno facendo i mercati.
Per i cittadini, quindi, non è ancora tempo di dormire sonni tranquilli. Perché se i mercati vanno male c'è da preoccuparsi per nuove misure di austerità in arrivo. Ma anche se vanno bene (in virtù di questa scommessa implicita) il rischio è che resti in bocca un sorriso un po' amaro.