Senza entrare nel merito e nella morale economica di una "svalutazione competitiva" bisogna però guardare i fatti. Prendendo le prime quattro economie del pianeta (nell'ordine Usa, Cina, Giappone e Germania) non si può non notare che stiano affrontando questi anni delicati di turbolenza economica internazionale ricorrendo nettamente a pratiche di "svalutazione" del cambio.
Con modi differenti. Usa e Giappone stampando moneta con massicci piani di quantitative easing che hanno aumentato la base monetaria deprimendo le rispettive valute. La Cina fissando una banda massima di oscillazione -1%/+1% dello yuan. E la Germania due volte: la prima volta aderendo all'euro nel 1999 con un cambio che ha difatti svalutato il marco a doppia cifra. E la seconda volta nel momento in cui genera meno inflazione rispetto ai Paesi dell'Eurozona.
Questa è la realtà. Agli altri Paesi, quella della periferia dell'Eurozona (Italia compresa) non resta che assistere inermi a questo scenario perché pur volendo non hanno cartucce per poter svalutare il cambio. E non possono nemmeno frenare gli effetti della rivalutazione delle rispettive virtuali valute nazionali. Insomma, c'è chi può e chi non può.
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