La Banca centrale europea non ha gli stessi poteri della Federal Reserve statunitense. La prima ha il compito di controllare la stabilità dei prezzi, ponendosi come obiettivo un tasso di inflazione non superiore al 2%. La seconda si occupa di garantire stabilità dei prezzi ma anche di favorire la crescita economica e l'occupazione. Una differenza non da poco.
Pur essendo banche centrali hanno cartucce diverse da sparare. Entrambe possono agire manovrando i tassi di interesse e drenare o immettere liquidità nel sistema attraverso prestiti agli istituti di credito al mercato all'ingrosso. La Federal Reserve, però, può anche stampare moneta. Sia ben chiaro, anche la Bce può stampare moneta (le banconote vengono stampate dalle varie zecche nell'area euro solo su ordine e per quantitativi stabiliti dalla Bce). Ma con l'espressione "stampare moneta" si intende principalmente la funzione di prestatore di ultima istanza. Ovvero la Fed può essere in ogni caso il garante finale acquistando titoli di Stato o altri titoli (come quelli sui mutui che la banca statunitense sta comprando al ritmo di 40 miliardi di dollari al mese dallo scorso autunno quando ha annunciato un terzo piano di quantitative easing). Un acquisto che avviene stampando appunto nuova moneta dal nulla.
La Banca centrale europea, invece, non incorpora per statuto la funzione di prestatore di ultima istanza. Ciò rende nel complesso gli Stati europei e la valuta europea più vulnerabili rispetto a Stati Uniti e dollaro.
Da qualche settimana impazza la polemica sul fatto che l'euro sia sopravvalutato rispetto ai fondamentali economici dell'Eurozona. Una valutazione che non agevola le esportazioni. Uno studio di Morgan Stanley ha evidenziato che ogni apprezzamento del 10% dell'euro riduce il Pil dell'area dello 0,5% e i profitti delle aziende del 3%. Ebbene, da luglio a oggi l'euro vale – nei confronti del dollaro – il 12% in più (il 10% nel confronto con lo yen giapponese).
Tecnicamente quindi all'Eurozona in un momento in cui la domanda interna rallenta per via dell'austerity in corso e delle svalutazioni salariali in programma (anche se ci auguriamo che i trattati europei possano essere rivisti prima di dar compimento a questo percorso ad oggi, era del pareggio di bilancio, ineluttabile) alimentare la domanda esterna con una valuta più competitiva non sarebbe certo uno svantaggio.
Ma l'Eurozona e la sua Bce hanno meno strumenti della Fed (ma anche della Banca del Giappone, della Banca d'Inghilterra e Svizzera che hanno una struttura simile) per poter svalutare e sono in difficoltà nella guerra delle valute in corso. Secondo gli esperti, se la Bce potesse "stampare moneta" (monetizzando il debito attraverso prestiti di ultima istanza) l'euro si attesterebbe intorno a 1,18 dollari (il 12% in meno rispetto al cambio attuale di 1,34), che molti considerano il fair value, il valore corretto che rispecchia il valore di parità con il potere di acquisto con il dollaro.
Approfondimento guerra valute sul Sole 24 Ore