Vola a Piazza Affari il titolo Immsi (+14% a 0,518 euro), società che fa capo a Roberto Colaninno. Nel 2008 Immsi è tra i soci fondatori di Cai (Compagnia Aerea Italiana), la società che ha acquisito le compagnie aeree Alitalia e Airone, presieduta anche questa da Colaninno.
In sostanza il balzo del titolo Immsi (che detiene il 7,08% delle quote di Alitalia) ci dice che i mercati stanno puntando su una cessione delle quote di Alitalia ad Air France-Klm a partire dal 12 gennaio, quando scade il vincolo di lock up (divieto di vendita delle azioni).
La compagnia franco-olandese oggi detiene il 25% della compagnia di bandiera italiana e, secondo indiscrezioni, avrebbe già messo a punto un'offerta che darebbe ai privati il 20% in più di quanto speso nel 2008. Dopo le indiscrezioni, la società ha tuttavia smentito l'apertura di negoziazioni. Ma i mercati preferiscono al momento puntare sulle indiscrezioni.
Ma all'Italia conviene davvero cedere la propria compagnia di bandiera? Assolutamente no. La risposta è nella macroeconomia, che probabilmente dovrebbe essere scrutata un po' di più di quanto accade oggi dagli addetti ai lavori. E la macroeconomia ci dice che la cessione di un'attività all'estero è da classificare tra le passività per il Paese Italia.
E questo sarebbe un controsenso rispetto all'austerity in atto. La firma del pareggio di bilancio e del fiscal compact (che prevede in 20 anni la riduzione del debito/Pil dal 126% al 60%) già impone un impegno del Paese a manovre lacrime e sangue per circa 50 miliardi di euro l'anno. Allora, per quale motivo, vendere Alitalia e far abbondare ulteriormente la voce delle passività?