Davvero una brutta e sfortunata storia quella che è capitata ai possessori dei tango bond argentini. Dopo il default del 2001 del Paese, il 92% dei titolari di obbligazioni argentine ha transato con il governo di Buenos Aires una ristrutturazione del debito, proposta sia nel 2005 che nel 2010 (elenco dei tango bond andati in default). In pratica, fatto 100 un titolo, ai titolari ne è stato riconosciuto un valore di circa 30 (attraverso l'emissione di nuovi bond a 100 ma per un controvalore di circa il 30% rispetto ai vecchi titoli).
In questi anni, armati di pazienza, tra cedole e alti e bassi, coloro che "sfortunatamente" (quando non spinti in malafede da istituti di credito) sono incappati in questi bond spazzatura hanno limato un po' la perdita portando quel 100 iniziale investito nel 2000 a circa 60-65 (dipende dal titolo e dalla scadenza). Siamo ancora pesantemente sotto (soprattutto se si condidera la teoria del costo opportunità e quindi si aggiungono nel calcolo anche gli interessi persi nel caso quei 100 fossero stati investiti meglio in un titolo profittevole non ristrutturato).
Ma adesso, questi 60-65 rischiano di perdere altro terreno, in un'agonia senza fine per i tango bond holders. Che a questo punto sono anche un po' (anzi parecchio) indignados.
Negli ultimi mesi avvisaglie di un deterioramento delle capacità di solvibilità dell'Argentina ce ne sono state. Basti osservare l'evoluzione dei credit default swap sul debito di Buenos Aires (una sorta di polizze assicurative che coprono dal mancato rimborso) passato da un valore di 1.000 a fine ottobre a 4.200. Insomma, variazioni da capogiro indicative di una situazione d'allarme.
Sarà forse per questo motivo che il giudice del Tribunale di New York, Thomas Griesa, ha emesso lo scorso 21 novembre una sentenza dai potenziali effetti dirompenti. Dato che l'Argentina deve rimborsare 3 miliardi di dollari in cedole il 15 dicembre ai titolari di tango bond che hanno aderito alla ristrutturazione nel 2005 e nel 2010 (swap del debito), il giudice ha detto: nella stessa data bisogna rimborsare anche chi non ha aderito allo swap, circa l'8% dei vecchi creditori. Tra questi vi sono anche fondi speculativi statunitensi, tra cui Nml, controllato da Elliott Associates, e Aurelio. Quelli da cui è partita la querela che ha fatto riaprire un vaso di Pandora che sembrava chiuso per sempre.
Se l'Argentina non lo farà, il Tribunale di New York è pronto a inibire il pagamento degli interessi sul debito facendo a quel punto saltare il tappo sul nuovo debito (24 miliardi di dollari) facendo quindi ripiombare l'Argentina in default.
La conseguenza è che le agenzie di rating sono partite. Fitch ha tagliato ieri in un solo colpo di cinque gradini il giudizio sull'Argentina, declassandolo da "B" a "CC", avvicinandolo paurosamente alla "D" di default. Mentre – secondo gli addetti ai lavori – anche Moody's e S&Poor's potrebbero muoversi in una direzione simile. Con la conseguenza di far lievitare ulteriormente i tassi di interesse e i costi sul debito argentino, aumentandone esponenzialmente le possibilità di default.
Allo stesso tempo i prezzi dei tango bond potrebbero scendere (perché si muovono in direzione opposta rispetto ai rendimenti) vanificando una parte del tentativo del recupero che gli sfortunati tango bond holders indignados hanno pazientemente archiviato in questi anni. Quindi quei 60-65 rischiano di tornare indietro anziché andare avanti verso quei 100 iniziali investiti nel 2000.
Ma la domanda, forse un po' maliziosa, è la seguente: all'Argentina questa sentenza dà fastidio (ha annunciato un ricorso) oppure potrebbe paradossalmente giocare a favore? "Quale migliore occasione - si chiede Vincenzo Somma, responsabile del settore finanziario di Altroconsumo – per ritardare il pagamento degli interessi? Del resto lo hanno già fatto una volta, quindi non hanno più problemi di reputazione. Non vedo perché non potrebbero farlo ancora".
E i piccoli risparmiatori (parafrasando il buon vecchio Totò) pagano.