Un ottimo operatore di Borsa qualche mese fa mi ha raccontato, sorseggiando una birra. Lo spread? "Non crederci. L'euro in crisi? Non credere neanche a questo". Lì per lì ho pensato che prima di incontrarci avesse bevuto qualche altra birra e che stesse dando i numeri. Ma ogni tanto quelle parole pronunciate con raggelante sarcasmo mi tornano in mente.
E tornano in mente soprattutto quando si leggono notizie come questa qua, di oggi. Secondo quanto pubblica il giornale tedesco Faz (Frankfurter Allgemeine Zeitung), la Troika - l'asse composto da Ue-Fmi e Bce preposto a una sorta di amministrazione controllata della Grecia in cambio degli aiuti scattati per la prima volta nel maggio 2010 – avrebbe chiesto con una una lettera inviata al Ministero del lavoro greco l'introduzione della settimana lavorativa di 6 giorni, oltre alla riduzione degli oneri sociali per i datori di lavoro e controlli più severi degli uffici del lavoro per combattere il fenomeno del lavoro nero.
Se questa idea (quella dei 6 giorni lavorativi) dovesse passare sarebbe un ulteriore impoverimento della classe media dell'Europa (perché dopo la Grecia rischia di naufragare negli altri Paesi più in difficoltà), quella che è cresciuta di più negli ultimi decenni e la principale vittima di questa ormai quinquennale crisi. A quale scenario stiamo andando incontro? Dopo l'innalzamento dell'età pensionabile (con conseguente riduzione della qualità della vita nella terza età) quella di comprare altro tempo della classe media innalzando le ore lavorative (con impoverimento della qualità della vità anche nella seconda età) è la soluzione più equa?
Me lo chiedo perché la finanza fuori controllo – quella che ha causato la crisi dei derivati sui mutui subprime che dal 2007 è riverberata a cascata sull'attuale crisi dei debiti sovrani – continua nel frattampo, agiata, ad operarare nel pieno far west. Con il mercato dei derivati che ormai vale nove volte il Pil del pianeta e 14 volte il valore delle Borse (le prime 20 banche europee hanno in pancia derivati pari a metà Pil europeo). Non dimenticando che, stando ai numeri forniti dalla Bank of international settlements il controvalore dei contratti di derivati è oggi più eleveto rispetto al 2007, quando appunto la crisi ha avuto origine.
Quindi, riepilogando, mentre si continua a parlare di spread, di tasse e di crisi, le istituzioni si concentrano su come rimettere in riga i Paesi malgestiti che hanno abusato a dismisura nella spesa pubblica (cosa giustissima) attraverso l'agevole strada del depotenziamento della classe media (cosa invece discutibile), quelle stesse istituzioni non si preoccupano di modificare una volta per tutte la finanza, con nuove regole che riportino l'utilizzo dei derivati alla loro sana funzione originaria, quella di proteggere un investimento dai rischi.
Perché si può lavorare quanto si vuole ma, se la finanza fuori controllo manda in tilt le banche che a loro volta non sono più in grado di foraggiare imprese sane costrette a chiudere i battenti a causa della stretta creditizia, la crisi non si risolve.
La domanda: perché allora le istituzioni non vanno al cuore del problema (la finanza da far west) anziché mettere toppe qua e là a scapito della qualità della vita dei cittadini?
Nel frattempo continuo a sperare che quell'operatore di Borsa, qualche mese fa, fosse semplicemente ubriaco.