L'articolo 50 del Trattato dell'Unione europea (modificato dal Trattato di Lisbona del 2007 entrato in vigore dal 2009) prevede la possibilità che un Paese membro esca volontariamente dall'euro. Peraltro senza motivare la decisione. Quindi, la Grecia, alle prese in questi giorni con il tentativo disperato di creare un governo dopo le elezioni del 6 maggio che hanno decretato una frammentazione clamorosa con svariati partiti anti-euro in pole position, potrebbe tecnicamente tornare alla dracma. Il problema è ovviamente valutare pro e contro di questa operazione che taluni dipingono come disastrosa (con la svalutazione della moneta che ne conseguirebbe stipendi e pensioni varrebbero molto meno) mentre da altri è vista come l'unica via di uscita per la Grecia dalla trappola europea (costretta, in caso di permanenza nell'Ue a sopportare rigidi piani di austerity che ugualmente impoveriscono oltremisura la popolazione).
Il problema, però, è soprattutto un altro. Ed è l'euro stesso. E la sua forza. Nell'ultimo anno le Borse europee hanno perso terreno, gli spread hanno avuto escursioni drammatiche (un anno fa il differenziale Italia-Germania a 10 anni viaggiava a 130 punti mentre adesso è a 400). Mentre l'euro sul dollaro dimostra una stabilità per certi versi sconcertante. Da tempo oscilla intorno alla soglia di 1,3 dollari con piccoli movimenti percentuali a rialzo o al ribasso.
Il super-euro in questa fase non conviene ai Paesi membri, in particolare ai Paesi meno virtuosi (strozzati da debiti pubblici consistenti e difficoltà nel settore bancario e immobiliare).
Il problema dell'euro è l'euro stesso. "Un’economia in difficoltà non può convivere con una valuta forte. L’argentina ne è l’esempio. Se l’euro non svaluta, non solo la Grecia ma finanche l’Italia e la stessa Francia saranno destinate a soccombere. "E’ solo questione di tempo – spiega lucidamente Nicolò Nunziata, strategist di Jc&Associati -. In tal senso la vittoria di Hollande in Francia può essere letta positivamente, perché potrebbe spingere al cambiamento: Eurobond, Bce con doppio mandato etc., fino all’azzeramnento dei tassi e ad un quantitative easing (Banca centrale che stampi moneta, ndr) che finalmente svaluterebbero l’euro.
La Grecia come il Portogallo e l’Irlanda dovrebbero uscire, semplicemente perché al di là del rigore non avranno mai più alle attuali condizioni la capacità di crescere. La stessa Irlanda si salva solo per l’aliquota bassa alle aziende estere ma in prospettiva in un contesto di maggiore integrazione dovrà rinunciare.
L’importante è che l’uscita avvenga sotto la tutela del Fondo monetario internazionale. Ci sarebbe una svalutazione della nuova moneta e probabilmente sarebbe necessaria una ristrutturazione del debito (già pienamente scontata). A quel punto (vedi Argentina) potrebbero ripartire.
Un’uscita di questi paesi per gli altri paesi potrebbe addirittura essere positiva, soprattutto se accompagnata da quelle misure di cui sopra. L’unico rischio è la resistenza della Germania, ma sono convinto che sarà superata, altrimenti continuando così si andrà inevitabilmente alla dissoluzione dell’euro o all’uscita della Germania che sarebbe per tutti l’ipotesi migliore".