Da dicembre 2005 ci sono stati otto rialzi del costo del denaro (passato dal 2 al 4%) che hanno comportato un aumento dei mutui a tasso variabile (espressi dall’indicatore euribor) nettamente superiore rispetto a come si è mosso l’Irs (l’indicatore per i mutui a tasso fisso).
Sta di fatto, che i mutui a tasso variabile restano sempre, fotografati in un momento specifico e confrontanti con il corrispettivo tasso fisso, meno cari. Perché?
Semplicemente perché chi sottoscrive un mutuo a tasso fisso paga in più una sorta di "assicurazione" che lo protegge dal rischio che l’economia italiana tracolli e che gli interessi passivi tornino sui livelli degli anni ’80 quando i mutui costavano nell’ordine del 17% annuo.
Con l’ingresso nell’Unione europea e con i rigidi paletti imposti per rimanerci (deficit/pil al 3% ad esempio) il rischio di una batosta per la nostra economia è decisamente ridotto. Elemento che dovrebbe indurre a preferire, almeno per i mutui sulla lunga distanza (dai 20 anni in su) il tasso variabile. Anche se, anche in questo caso è sempre bene analizzare con attenzione il piano di ammortamento.